L’Italia è un paese di anziani.
L’allungamento delle aspettative di vita e il calo delle nascite stanno profondamente e rapidamente trasformando la demografia del nostro paese.
Di questo passo, nel 2050 oltre un terzo della popolazione italiana avrà più di 65 anni.
Le conseguenze di questa metamorfosi demografica sono destinate a lasciare un segno profondo sulla nostra società, e soprattutto sulle casse dello Stato.
In molti parlano di un bomba demografica pronta a esplodere già nel 2030.
L’allungamento della vita media degli anziani non è sempre sinonimo di un miglioramento della qualità di vita. Anzi, spesso è vero il contrario. Il rischio è quello di un aumento delle persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine ed emarginazione sociale.
Chi si prenderà cura degli anziani?
Tradizionalmente, la cultura mediterranea ha affidato alla famiglia, e alla figura femminile in particolare, il compito di garantire il benessere degli anziani, ma i cambiamenti culturali e socio economici degli ultimi 50 anni – con l’entrata delle donne nel mondo del lavoro e il calo della natalità – hanno messo in crisi questo modello di “welfare familistico”.
D’altro canto, lo Stato fa molto poco per aiutare le famiglie che si devono prendere cura dei genitori anziani.
Non essendo possibile ospedalizzare circa 20 milioni di vecchietti che non presentano patologie gravi ma solo hanno bisogno di un piccolo aiuto, lo Stato dovrebbe in qualche modo sovvenzionare le cure e l’assistenza a domicilio.
Ma questo tipo di servizio pubblico, che esiste in altri paesi, è da noi praticamente inesistente. Ne gode appena il 2,7% della popolazione over 65.
La spesa per l’assistenza agli anziani ricade così sulle spalle delle famiglie italiane, che devono provvedere all’assistenza dei loro cari mediante il ricorso a badanti e assistenti familiari.
Nel 2020 la spesa per colf, badanti e babysitter regolarmente iscritte all’INPS da parte delle famiglie italiane è stata di 7,1 miliardi di euro.
Ma se includiamo anche la spesa per la componente irregolare quest’importo è almeno il doppio, circa 15 miliardi di euro. (Fonte: Fondazione Moressa)
Un sostegno alle famiglie per far emergere il lavoro in nero
Questo trasferimento di spesa assistenziale dal pubblico al privato permette allo Stato di risparmiare circa 10 miliardi di euro l’anno – questa è la cifra di cui lo Stato dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura – ma presenta anche degli effetti negativi.
Uno di questi è la diffusione del lavoro in nero nel settore domestico.
Il costo di una badante convivente a tempo pieno, assunta con un contratto regolare, è di circa 1500 euro al mese.
Chiaramente si tratta di una spesa proibitiva per molte famiglie italiane, che si vedono costrette a ricorrere a forme di lavoro in nero per ridurre quella compente della spesa legata agli oneri contributivi.
Il risultato è un elevato tasso d’irregolarità nel settore domestico, circa il 57,6% secondo le stime Istat, e una perdita di gettito fiscale.
Nel 2020, il lavoro domestico ha determinato un gettito fiscale e contributivo pari a 1,5 miliardi di euro, che potrebbero arrivare a 3,6 miliardi se tutti i lavoratori domestici fossero in regola.
Per fare emergere il milione di lavoratori domestici ancora senza contratto (italiani e stranieri), occorrono misure di sostegno alle famiglie che rendano il lavoro nero meno conveniente di quello regolare.